Maometto
(La Mecca 570 ca – Medina 632). Profeta, fondatore della religione musulmana. Appartenente a una famiglia dei Banu Hashim, ramo minore della potente tribù dei qoreishiti, nacque orfano del padre Abd Allah e a soli sei anni perse anche la madre Amina. Allevato dal nonno Abd al-Muttalib e poi dallo zio Abu Talib, fu al servizio di questi e come cammelliere poté visitare la Siria e la Palestina. Visse una giovinezza di stenti da cui lo tolse il matrimonio con la ricca vedova quarantenne Khadigia con la quale convisse felicemente avendone tre figli maschi, tutti morti in tenera età, e quattro figlie, tra le quali Fatima. che avrebbe poi svolto un ruolo importante nelle vicende islamiche.
Il Corano
Il nome “corano” deriva dal verbo q-r-‘ e significa lettura, recitazione. Il testo è costituito di 114 capitoli denominati “sure”. Ogni versetto è denominato “’aya”, traducibile con testimonianza, miracolo, prodigio. La divisione in capitoli e i titoli risalgono probabilmente al decimo secolo e l’ordine dei capitoli non riflette quello della rivelazione quanto la scelta di presentare prima le sure più lunghe e poi via via quelle più brevi. Ogni sura inizia con l’invocazione “bismi Llah, una breve formula liturgica che significa “nel nome di Dio, colui che fa misericordia, il Misericordioso”. L’idea fondamentale della rivelazione coranica è che tutto viene da Dio, creatore universale, e tutto ritorna a Lui, giudice supremo. Inoltre Dio ha parlato, manifestandosi ai profeti, facendosi conoscere e insegnando loro la legge, indicandogli il cammino che gli uomini devono seguire per giungere alla vita futura. Il Corano insegna “la via diritta”, i precetti della “religione perfetta della sottomissione a Dio. l’Islam”. Per i musulmani il Corano è prima di tutto Parola di Dio scritta in cielo su una Tavoletta custodita bene, che è la Madre del Libro, in qualche modo la matrice delle copie del Corano. La discesa del Corano dal cielo, la rivelazione di ogni versetto è considerata come un dono celeste e miracoloso. Questa parola scritta in arabo è stata rivelata nell’arco di ventitre anni attraverso l’angelo Gabriele al Profeta Muhammad che a sua volta l’ha trasmessa. Il Corano per il musulmano non è dunque la parola di Muhammad, anzi quando egli proferiva una rivelazione era in uno stato di estasi testimoniato da molti racconti della tradizione. Il Corano è per i musulmani Dio diventato libro e dunque è eminentemente sacro. Nella teologia islamica il Corano conferma la rivelazione anteriore contenuta nella Torà e nel Vangelo. I credenti delle tre religioni ebraica, cristiana e islamica riconoscono in Abramo il loro padre comune e il Corano definisce ebrei e cristiani “genti del Libro”.
L’Egira e il periodo medinese
L’inizio dell’attività profetica di Maometto viene collocato nella cosiddetta “notte del destino”, alla fine del mese di ramadan del 610, allorché gli apparve l’arcangelo Gabriele comunicandogli il primo messaggio divino. Tale evento coronò presumibilmente un lungo e profondo travaglio interiore precedente, di cui niente sappiamo ma che lo aveva già portato a scostarsi dal rudimentale politeismo dei suoi concittadini per un suo peculiare monoteismo permeato di elementi giudaici e cristiani. Egli credette quindi di ricevere direttamente da Dio (Allah) i canoni della rivelazione, costituenti nel loro complesso il Corano, che dapprima fu da lui considerato il corrispondente arabo di quanto già stabilito dalle Sacre scritture giudaiche e cristiane. La sua prima predicazione, preannunciante la fine dei tempi e esortante alla penitenza, ebbe un certo successo tra gli strati più umili della società meccana, ma fu invece osteggiata dalla ricca classe mercantile che dal grande pellegrinaggio convergente da tutta l’Arabia verso il santuario pagano cittadino della Ka’ba traeva cospicui vantaggi. Fu proprio l’avversione nutrita contro di lui dall’aristocrazia meccana a convincere nel 622 Maometto a passare con una parte dei suoi seguaci a Yathrib, poi ribattezzata Medina, con una migrazione (Egira) da cui prese poi inizio il computo degli anni dell’era musulmana. Tale avvenimento influì profondamente nel determinare i suoi successivi orientamenti. A Medina venne a trovarsi a capo di una comunità politica e per questo motivo dovette abbracciare con il suo insegnamento, che sino ad allora era stato di carattere esclusivamente etico e religioso, tutte le tematiche proprie della vita socio-politica. A Medina, dopo essere riuscito a dirimere equamente le dispute che opponevano da tempo le varie fazioni cittadine, seppe dar vita a un’organizzazione statuale tutta incentrata attorno alla sua persona e ancor di più attorno al suo messaggio religioso, che troncava nettamente con la perenne disgregazione politica in cui si trovavano da sempre le popolazioni dell’Arabia. Queste infatti riconoscevano come unico loro vincolo quello inerente la ristretta solidarietà tribale. Il nuovo stato medinese venne a rappresentare quindi un’eccezione, dal momento che i suoi cittadini accettavano di cooperare tra loro sulla base di un legame ideologico-religioso alternativo a quegli antichi vincoli. Il periodo medinese di Maometto fu anche caratterizzato da un suo maggiore sforzo per emancipare la dottrina nascente dell’islamismo dalle altre due religioni monoteistiche. Ebrei e cristiani, che non avevano voluto riconoscere la validità del nuovo credo, furono così accusati di avere in vario modo adulterato, tradito e frainteso le loro stesse Sacre scritture. Di esse il profeta arabo si proclamò perfezionatore e ultimo esecutore, realizzando così un disegno divino risalente al biblico Abramo, comune capostipite di ebrei e arabi attraverso i suoi due figli Israele e Ismaele.
L’Unificazione religiosa degli arabi.
Nel 624 Maometto fissò anche alcune pratiche rituali distintive della nuova religione rispetto al cristianesimo e al giudaismo, stabilendo alla Mecca (e non più a Gerusalemme) la direzione verso cui rivolgere la preghiera e decretando il venerdì come il giorno da deputarsi al servizio divino comunitario in alternativa al sabato ebraico e alla domenica cristiana. Nel frattempo la comunità medinese aveva iniziato un’attività militare contro i meccani attaccandone le carovane commerciali e cogliendo una prima significativa vittoria nel marzo 624 a Badr, a un centinaio di chilometri da Medina. La controffensiva dei meccani non si fece attendere e nel 625 un loro esercito sconfisse le forze avversarie a Uhdd, ove lo stesso Maometto fu ferito al volto. Nel 627 i dirigenti meccani tentarono poi un supremo sforzo radunando contro Medina una confederazione di tribù alleate di circa 10.000 uomini. Medina fu cinta d’assedio e si salvò solo grazie all’abile costruzione di una trincea difensiva. Sventato così l’attacco meccano, Maometto scatenò una durissima repressione contro la comunità ebraica medinese accusata di aver simpatizzato con il nemico. Alcune famiglie furono semplicemente espulse, mentre per altre venne decretata l’uccisione di tutti gli uomini adulti (circa 600 persone) e la riduzione in schiavitù per le loro donne e i loro figli. Con il 628 finì il periodo difensivo e si aprì quello del consolidamento del nuovo stato medinese sancito dall’adesione al nuovo credo di numerose tribù beduine e dalla stipulazione di un armistizio decennale con i meccani. Nel nuovo clima Maometto poté anche compiere (marzo 629) un pellegrinaggio privato nella sua città natale, ove visitò la tomba di Khadigia e pregò presso il santuario della Ka’ba. Oramai la situazione era matura per la grande svolta dell’aristocrazia meccana, vale a dire una sua, più o meno sincera, conversione alla religione predicata da Maometto. Ciò avvenne nel gennaio 630 allorché Maometto, accompagnato da alcune migliaia di seguaci, poté entrare alla Mecca senza colpo ferire. Penetrato nel recinto sacro della Ka’ba, distrusse tutti i simulacri dell’antico paganesimo, prese possesso della sacra pietra nera che vi era conservata e, proclamato solennemente sciolto ogni vincolo dell’età pagana, instaurò l’era nuova di Allah. Maometto, che pure aveva elevato La Mecca a città santa dell’Islam, non ne fece comunque la capitale del suo stato, ma volle fare ritorno a Medina da dove organizzò nuove campagne militari volte a rafforzare la sua egemonia in tutta l’Arabia. Compiuto nel febbraio-marzo 632 un nuovo pellegrinaggio alla Mecca (che la tradizione islamica ricorda come il pellegrinaggio dell’addio) Maometto morì a Medina l’8 giugno di quello stesso anno fra le braccia della moglie prediletta Aisha, figlia del futuro primo califfo Abu Bakr. La sua tomba, venerata dai musulmani, è una meta rituale per chi compie il sacro pellegrinaggio alla Mecca.
Fiaba (Maometto fugge dalla Mecca)
Questo è il racconto della fuga del profeta Maometto, fondatore dell’lslam, dalla Mecca a Medina, in Arabia Saudita. Oggi queste due città sono i luoghi di pellegrinaggio più importanti, per i musulmani. La fuga di Maometto è chiamata “egira” (hijra) e avvenne nel 622 d.C., anno che segna l’inizio del calendario islamico. Il profeta Maometto nacque e visse per molti anni alla Mecca. Fu lì che udì la parola di Allah e cominciò a predicare l’Islam alla gente. Molti ascoltavano con entusiasmo quello che diceva, ma altri non volevano neppure sentirlo. I ricchi mercanti della città temevano di perdere potere e prestigio, se la gente cominciava a credere nel Dio di Maometto, e complottarono per sbarazzarsi di lui. Ben presto né Maometto né i suoi seguaci furono più al sicuro, alla Mecca. Una notte, un gruppo dei più ricchi e potenti mercanti della città si incontrò in segreto per progettare il da farsi. «Dobbiamo ucciderlo» propose uno. «Più facile dirlo che farlo» commentò un altro, in tono preoccupato. «Quell’uomo ha amicizie potenti.» «Non vorrei essere io a farlo» convenne un terzo. «Chiunque lo uccida non sopravvivrà a lungo.» Mormorii di approvazione si alzarono tutt’intorno. Ma allora cosa dovevano fare? Alla fine prese la parola un mercante di nome AbuJahl.
«Ciascuno di noi mandi un uomo ad aspettare fuori dalla casa del profeta. Quando uscirà per pregare, la mattina, tutti insieme collaboreranno a ucciderlo. Così non si potrà incolpare una singola persona.» «Un ottimo piano» convennero gli altri mercanti. «I suoi amici non possono certo vendicarsi su noi tutti!» Maometto, però, venne avvertito. L’angelo Jibril gli apparve in sogno e gli disse che quella notte non era sicuro per lui dormire in casa. Così il profeta chiese al cugino Ali di prendere il suo posto, assicurandolo che non gli sarebbe successo nulla di male. Al cadere della notte, gli uomini dei mercanti si nascosero fuori dalla casa di Maometto. Aspettarono in gran silenzio fino all’ alba. Poi si aprì la porta e tutti quanti balzarono avanti, coltello in pugno: ma l’uomo che uscì non era il profeta Maometto. Furibondi per l’inganno, i sicari corsero a riferire l’accaduto ai mercanti. Tutto ciò diede a Maometto il tempo di preparare la fuga. Il suo amico Abu Bakr l’aspettava con due veloci cammelli che li avrebbero portati attraverso il deserto alla città di Medina e alla salvezza. I nemici li avrebbero sicuramente inseguiti, perciò per confonderli Abu Bakr e Maometto presero la direzione opposta. Viaggiarono tutta la notte più veloci che poterono, poi trovarono una fresca caverna ombrosa in cui nascondersi e ripararsi dal bruciante sole del deserto. Ma i mercanti avevano intuito la loro direzione, e correvano alle loro calcagna. «Che cosa facciamo?» domandò ansiosamente Abu Bakr. «Sicuramente ci troveranno…
Vedranno l’ingresso della caverna e saremo spacciati!»«Non temere, amico mio» lo rassicurò Maometto. «Allah ci proteggerà.» Pochi minuti dopo, udirono delle voci fuori dalla caverna. I mercanti avevano trovato l’ingresso, come Abu Bakr temeva. «Guardate, una caverna!» disse una voce. «Saranno nascosti qui.» «Non essere sciocco» replicò un’ altra voce. «È solo una vecchia caverna abbandonata. Sono anni che non ci entra nessuno. Guarda quella ragnatela all’imboccatura, e quella tortora appollaiata sul suo nido. Niente le ha disturbate, poco ma sicuro.» «Oh, probabilmente hai ragione» disse la prima voce. «Andiamocene. Devono essere in un altro posto.»Quando Abu Bakr sentì che gli uomini si stavano allontanando, emise un sospiro di sollievo. Ma al tempo stesso era assai sconcertato.«Non mi risulta che ci fossero tortore o ragnatele, quando siamo entrati» esclamò. «Com’è che erano qui?»Maometto sorrise. Allah li aveva protetti, e lui lo sapeva. Rimasero nella caverna ancora qualche giorno, finché sentirono che il pericolo era passato, dopo di che proseguirono il viaggio nel deserto, verso la calda accoglienza di Medina, la città del Profeta.
Feste e celebrazioni
L’anno islamico è ricco di solennità, la più importante delle quali è il mese del Ramadan, che commemora la prima rivelazione di Allah a Maometto. Durante il Ramadan i musulmani digiunano – ossia non mangiano e non bevono – dall’alba al tramonto, e questo al fine di imparare l’autodisciplina. La pratica rammenta loro l’esistenza degli affamati nel mondo, rendendoli maggiormente consapevoli delle benedizioni che ricevono da Allah. Il Ramadan termina con la comparsa della luna nuova in cielo e la fine del digiuno viene celebrata con i festeggiamenti dell’Id ul-Fitr, durante i quali i musulmani visitano la moschea, invitano amici e parenti e viene consumata una quantità di cibi particolari. La religione musulmana vieta di mangiare carne di maiale e di assumere alcolici.
Tappe della vita
Preghiere e cerimonie particolari accompagnano ogni tappa della vita di un musulmano. Nelle orecchie del neonato, appena viene alla luce, vengono sussurrate delle preghiere, che sono le prime parole che sente. Sette giorni più tardi inizia la sua aqiqah, o cerimonia del nome. La famiglia è molto importante e il Corano incoraggia i fedeli a sposarsi. Il divorzio è permesso, ma dopo che la coppia ha tentato in ogni modo di risolvere i contrasti al suo interno. I defunti vengono sepolti, non cremati, poiché i musulmani ritengono che il cadavere debba essere rispettato e non debba subire alcuna lesione.
Il pellegrinaggio alla Mecca
Ogni musulmano deve fare almeno una volta nella vita un pellegrinaggio alla Mecca (hajj) per pregare presso la Ka’aba, un edificio cubico che si ritiene sia stato edificato da Abramo, uno dei profeti dell’islam, e Ismaele, uno dei suoi figli. Il pellegrino gira sette volte in senso antiorario intorno al santuario; quindi, camminando o correndo, copre per sette volte la distanza fra due alture vicine a esso. Segue un percorso a piedi di circa 25 chilometri fino al monte Arafat, dove Maometto pronunciò l’ultimo sermone. Di ritorno alla Mecca, il pellegrino lancia sassi contro tre cumuli di pietra, che rappresentano Satana, prima di fare gli ultimi sette giri intorno alla Ka’aba. Il pellegrinaggio termina con la festa di Id ul-Adha e il sacrificio di una pecora o di una capra.
La parola moschea
deriva dall’arabo masdjjd, dalla radice soudjoù, che significa posare la fronte a terra, atto che esprime l’adorazione e l’umiltà. La moschea è dunque luogo di preghiera e adorazione. Essa è anche definita djami’ che significa luogo di raccolta e di unione. Certe preghiere come quella del venerdì debbono avvenire in moschea. Luoghi di culto, adorazione, purificazione le moschee sono luoghi sacri. La moschea al centro della città simbolizza il centro di attività all’interno della società, ma anche l’apertura al mondo esterno. “Luogo di edificazione spirituale, è allo stesso modo anche luogo di studio, dialogo e accoglienza. Deve testimoniare l’esigenza di giustizia e l’amore per la pace.” Fin dai primi secoli la funzione dell’insegnamento fu integrata al funzionamento della moschea sia direttamente sia attraverso le madrasa (scuola). A Medina la tradizione islamica dice che il Profeta Muhammad organizzò una moschea vicino a casa sua per dirigervi gli affari della comunità e insegnare. In questa moschea c’era una grande sala o un cortile per la preghiera comune, uno spazio coperto per la scuola (suffah) e qualche cameretta per la famiglia del Profeta.La suffah è stata la prima istituzione educativa islamica: vi si insegnava l’Islam, la scrittura, il Corano. Quando la suffah non bastò più il Profeta organizzò delle scuole dette kuttab in diversi quartieri di Medina invitando i bambini a farsi istruire. La moschea è luogo della preghiera comunitaria, che per la tradizione islamica vale 25 o 27 preghiere compiute in solitudine. La preghiera comunitaria è volta a rinforzare i legami di solidarietà, affetto, fraternità tra i membri della comunità. Lasciando da parte le preoccupazioni materiali i credenti rispondono insieme alla chiamata alla preghiera abbandonando le differenze che potrebbero esservi fra loro, si pongono uno di fianco all’altro e sono uguali davanti a Dio. “La moschea è luogo di fraternità e uguaglianza, rimedio contro l’indifferenza, l’individualismo, il disprezzo degli altri”.
Il ruolo della donna musulmana
Varia da Paese a Paese e questo è causa di scontro, talvolta, fra comportamenti tradizionali e moderni. In alcuni Paesi islamici, come in Arabia Saudita, le donne hanno molte limitazioni: devono indossare abiti e veli tradizionali che ne coprono tutto il corpo, perché il Corano richiede che vestano con modestia; non possono lavorare e neppure guidare l’auto. Nei Paesi con costumi meno rigidi, come in Siria, le donne possono vestire all’occidentale, anche se molte di esse osservano ancora la tradizione. Le siriane sono incoraggiate vivamente a studiare e a lavorare.
La Valle delle formiche (fiaba del Corano)
Questa storia proviene dal libro sacro dei musulmani, il Corano. E una delle tante storie che dimostrano quanto Allah sia misericordioso anche con le creature più piccole. Tanto tempo fa, le formiche vivevano pacifiche nella loro valle. Lavoravano insieme gaiamente, sempre indaffarate a cercare cibo, costruire o riparare i nidi e accudire ai piccoli. Regnava su di loro una grande e potente formica-regina. Le formiche erano orgogliose del loro modo di vivere. Non litigavano mai e men chè meno si prendevano a botte: anzi, si aiutavano a vicenda ogni volta che ce n’era bisogno. Insomma, la valle delle Formiche era il posto più bello del mondo. Un giorno, mentre erano al lavoro, le formiche udirono a distanza un terribile fracasso. Poteva essere il rombo di un tuono, senonché il cielo era nitido e azzurro. Poteva essere il ruggito di un uragano, ma l’aria era immobile e non soffiava la minima brezza. «Cosa sarà mai?» si chiesero le formiche, profondamente inquiete. Nessuna conosceva la risposta. Tesero le orecchie: il rumore cresceva sempre di più, si faceva sempre più vicino. Ma ancora le formiche non capivano cosa fosse. Sapevano solo che era il suono più terribile e spaventoso che avessero mai udito. Cominciarono a correre in cerca di riparo, zampettando e strisciando di qua e di là alla ricerca di un buco o una crepa nelle rocce.
Ci fu un tale scompiglio che perfino la formica-regina uscì di gran fretta dalla camera reale. La regina fu sorpresa alla vista di tutte quelle formiche che correvano via in preda al panico, e alla prima che incontrò chiese cosa mai stesse succedendo. «Ma… ma… maestà…» balbettò la formica. «C’è un terribile rumore e sta venendo da questa parte, dritto nella nostra valle. Oh, cosa facciamo? Cosa facciamo?» La regina pensò rapidamente. Convocò le formiche e disse loro di raccogliere quanto più cibo potevano, rimanendo nei pressi dei loro nidi. E le invitò a non lasciarsi sopraffare dal panico. Poi s’arrampicò in cima al nido pili alto e scrutò nella valle in direzione del rumore. Tra nubi di polvere, si stava avvicinando una grande nuvola grigia. Alla fine la regina riuscì a individuare di che cosa si trattava: era un enorme, splendido esercito, con soldati a piedi e a cavallo, guidati dal grande profeta Suleiman (Salomone). Il frastuono udito dalle formiche era provocato dai loro piedi in marcia. Non c’era tempo da perdere, pensò la regina. «Stanno venendo in questa valle il profeta Suleiman e il suo esercito!» disse alle formiche. «Questo è il rumore che sentivate! Tornate di corsa ai vostri nidi, per non essere schiacciate. Siamo così piccole che i soldati potrebbero non vederci in tempo.» Ma Suleiman udì le parole della regina e le capì perfettamente, perché Allah gli aveva insegnato il linguaggio degli uccelli e di tutti gli altri animali. Il profeta fece un dolce sorriso e ordinò al possente esercito di interrompere la marcia. Lo spaventoso suono si interruppe. Poi Suleiman disse ai soldati di camminare con estrema attenzione, mentre attraversavano la valle, in modo da non schiacciare nemmeno una formica. E così fu. Quella notte, una volta passato l’esercito, nella valle delle Formiche tornarono la pace e il silenzio. Ma le formiche non dimenticarono mai Suleiman, il grande e pietoso profeta che conosceva il linguaggio di tutti gli animali, perfino delle più piccole creature di Allah.